Innovazione tecnologica e deontologia professionale: un ossimoro per chi “crea disoccupazione”?

L’ innovazione mi ha sempre affascinato, già da quando giocavo con le costruzioni Lego. Forse perché ha a che fare con la creazione e parteciparne anche con una invenzione minuscola mi fa sentire il mondo amico e pieno di potenzialità.

Non a caso i miei studi si sono orientati verso materie incentrate sull’innovazione. La stessa specializzazione nel campo dell’automazione industriale offriva prospettive di sviluppo importanti già all’inizio degli anni ’80, quando era in pieno corso la terza rivoluzione industriale.

Nella fattispecie l’innovazione era incentrata sul governo di macchine sempre più automatiche attraverso  sistemi di controllo a microprocessore di cui ho progettato i sistemi hardware e realizzato il firmware di funzionamento.

Ricordo con particolare affetto il primo sistema di governo di una piccola centrale eolica funzionante in isola, completo di simulatore; un primordiale robot anti intrusione ed antincendio sviluppato con un progetto internazionale: 2 quintali di batterie, sensori ovunque ed un piano di legno per coprirle, che ricordava il tagliere delle nostre sfogline per preparare i tortellini. Proposi di chiamare  il robot “Zaira” e  tutti i colleghi del team, anche quelli dell’università di Grenoble avevano sulle workstation la loro cartella “Zaira”.

Zaira aveva ancora molti difetti, ma le volevamo bene anche se bastava scuoterle davanti un mazzo di chiavi per farle perdere l’orientamento.

Ricordo anche la complessità del sistema di controllo di una macchina saldatrice di lamiere per contenitori alimentari, così come, per un altro cliente, il sistema di monitoraggio della qualità a raggi X dei coperchi per gli stessi contenitori. A differenza del diavolo, facevo le pentole, ma anche i coperchi.

Tutto bene, pertanto, salvo scoprire che il mio operato poteva essere ritenuto dannoso per la società!

La prima critica in tal senso l’ho ricevuta ancora da studente, quando un conoscente osservò che, sviluppando l’automazione, creavo disoccupazione!.  Eventualità che minava il mio sogno di vivere – e possibilmente di prosperare – perché ero capace di dare valore aggiunto alla società e non perché la depredavo. Poi trovai la risposta, senza la quale non avrei potuto realizzare i progetti di cui sopra ed i numerosi altri che seguirono e che tuttora seguono. Anche se oggi essi sono più connessi con lo sviluppo del business, l’organizzazione ed il project management.

Come bene sappiamo, che l’innovazione metta in discussione molti posti di lavoro è un fatto certo. Che molte nuove professionalità (in larga parte ancora in via di definizione) verranno sempre di più richieste non fornisce sicurezza: una fascia importante della popolazione subirà questo cambiamento senza avere strumenti per trasformarlo in una opportunità.

In un precedente articolo avevamo richiamato alla memoria il tentativo del movimento luddista di contrastare il progresso e di eliminarne gli artefici. Senza un’adeguata risposta chi fa innovazione rischia di essere considerato dalla società alla stregua di chi ruba o abusa del potere.

Di qui poche semplici considerazioni:

  • Creare efficienza porta ricchezza alla società, perché si ottengono migliori risultati con minori costi
  • Il tema è pertanto come distribuire questa ricchezza e le nuove possibilità create dalla innovazione
  • Il modello economico attuale aumenta le differenze e mina la sostenibilità sociale, per cui non può durare nel tempo
  • Con adeguate politiche si può tentare di guidare il cambiamento attraverso una evoluzione. Se il tentativo fallisse, il cambiamento potrebbe avvenire attraverso una rivoluzione, con gravi conseguenze per la società stessa
  • Se la politica attuale non ha chiarito bene questo aspetto, l’opinione pubblica tenderà sempre di più ad attribuire la responsabilità dei problemi sociali a chi fa innovazione. Questo non fa bene alla coesione sociale ed ancor meno ai diretti interessati
  • Chi fa innovazione è chiamato ad integrare il proprio operato in un contesto di sostenibilità per la società e per l’ambiente, così come di partecipare attivamente al dibattito politico. Di qui l’importanza della deontologia professionale e di una presenza come persona e non solo come tecnico.

Di queste considerazioni ho potuto fare cenno nell’ambito di una serie di interessanti seminari tecnici organizzati dall’Ordine degli Ingegneri di Parma  in collaborazione con gli Ordini degli Ingegneri dell’Emilia Romagna (FEDINGER) e della Lombardia (CROIL) alla recente fiera dell’automazione di Parma SPS IPC Drives , 23-25 Marzo 2017.

Prossimi articoli riprenderanno alcuni dei contenuti – a mio avviso interessantissimi – condivisi nell’ambito dei 4 eventi del ciclo “L’Ingegneria del Terzo Settore nell’era della  IV Rivoluzione Industriale”

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